Stringere in un intrigante abbraccio
interdisciplinare psicologia clinica e logica significa far
dono, alla prima, di una profonda razionalità e, alla seconda,
di una nobile applicabilità. Si scopre, così, quanto ardua e
complessa sia la psicologia clinica, scienza che si pone ai
limiti della caoticità e della paradossalità conoscitiva. In
psicologia clinica non sono del tutto lecite le certe generalizzazioni
e le perfette teorizzazioni, sebbene molti pensino il contrario.
Generalizzare vuol dire esaltare la dimensione estensiva dove
importante è la numerosità del campione. Teorizzare vuol dire
presumere l’indiscutibilità delle proprie convinzioni, a scapito
delle specificità personali. In ogni caso, la persona è secondaria.
Non è neanche lecito, però, sostenere che la psicologia clinica
debba ridursi ai mondi soggettivi; ogni persona resta, in fondo,
un uomo, e, come tale, espressione di un’umanità di base che
la rende simile, per molti aspetti, a tutte le altre persone.
Si delinea, così, la povertà dei metodi distinti, siano essi
sperimentali (invece idonei alla psicologia generale), assiomatici
o relativistici. Nell’integrazione di questi metodi si cela,
invece, l’opportunità di esaltare la sinergica costruttività
e di sminuire, al contrario, il peso della reciproca incompatibilità.
Nel fondere, in sé, apertura e confinamento, ipoteticismo e
conclusività, infinitarietà e contenimento, la logica integrata
apre, così, strabilianti prospettive di crescita. La psicologia
clinica si fa scienza razionale, retta da un pensiero forte
in ogni sua versione applicativa e, al di là di tutto, rispettosa
della complessa problematicità che le è insita per natura.
|