Attività e
Contributi Scientifici dell'Istituto Skinner di Roma
L'Istituto Skinner nasce nel 1973 grazie all'iniziativa del
Prof. Antonino Tamburello. Dal 1978, l'Istituto ha iniziato
un'attività specifica di formazione clinica in terapia cognitivo
comportamentale rivolta ai laureati in Medicina e in Psicologia,
il cui obiettivo fondamentale è quello di assicurare uno standard
formativo di eccellenza a tutti gli allievi. L'Indirizzo
scientifico dell'Istituto trae ispirazione soprattutto dall'opera e dall'insegnamento del Prof. Burrhus Friederich Skinner, che
ne autorizzò l'impiego del nome. L’Istituto Skinner di Roma
svolge le proprie attività nelle aree della clinica, della formazione
e ricerca in psicoterapia cognitivo comportamentale. Con
riferimento a ciascuna delle aree sopra menzionate, viene qui
riassunto l'operato dell'istituto considerando gli aspetti e
gli esempi più significativi.
Area Clinica
Dal 1973 ad oggi
ha operato presso gli studi dell’Istituto Skinner di Roma, un
numero variabile di psicoterapeuti cognitivo-comportamentali
compreso tra le 5 e le 10 unità. La formazione di ogni psicoterapeuta
è stata rigorosamente cognitivo-comportamentale e a ciascun
professionista sono stati affidati un numero di pazienti (in
trattamento ambulatoriale) compreso tra le 10 e le 30 unità.
In 40 anni di attività sono stati trattati oltre 4000 pazienti,
con diagnosi cliniche distribuite nel range dei disturbi nevrotici
e psicotici in età evolutiva e negli adulti. L’età dei pazienti
che prevalentemente hanno afferito presso il nostro Istituto
è compresa tra i 25-45. Per l’età evolutiva, i nostri psicoterapeuti
sono esperti nel trattamento di bambini a partire dai 3 anni
di età su un’ampia varietà di disturbi emozionali e comportamentali,
quali DSA, ADHD, Fobie, Tic, Balbuzie, Autismo ecc. L’esperienza
ci ha incoraggiati, soprattutto nell’attività clinica con gli
adulti, a privilegiare il setting terapeutico individuale.
Area Formazione
Dal 1978, l’Istituto
Skinner ha iniziato un'attività di formazione clinica rivolta
a laureati in Medicina e Psicologia. L'obiettivo è stato quella
di formare delle figure professionali operanti nel campo della
Clinica degli adulti e dell'età evolutiva, con un approccio
comportamentale e cognitivo. L’Attività di Formazione è stata
articolata in due sezioni: la sezione Formazione di Base e la
sezione Formazione su Aree Specifiche. La Formazione di Base
è stata rappresentata dal Corso Base Quadriennale sulle Tecniche
di Modifica e Terapia del Comportamento, successivamente denominato
Corso Base Quadriennale di Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale,
attivato ogni anno dal 1978 in poi. Gli allievi, selezionati
con i metodi descritti (vedi relazione specifica allegata),
sono stati circa 20 unità ogni anno. I docenti sono stati
scelti tra le figure più significative della storia di questo
approccio in Italia, sia per gli apporti scientifici che clinico-professionali.
La Formazione su aree specifiche ha riguardato diversi ambiti
di intervento quali quello della Sessuologia Clinica, della
Medicina Comportamentale, dei Deficit della Comunicazione Sociale,
etc. Riteniamo opportuno segnalarne alcune iniziative di maggiore
rilievo. Il Corso di 100 ore di Biofeedback e Medicina Comportamentale
realizzato quattro volte tra il 1980 e il 1986. Tra i docenti
del Corso di Biofeedback e Medicina Comportamentale, segnaliamo
in particolare la partecipazione di Jasper Brener dell’Università
di Hull (England) e Gary Schwarts dell'Università di Yale che
vanno considerati tra le figure più significative nell’area
internazionale. Al Corso hanno partecipato in qualità di
allievi circa 40 laureati per ciascuna delle quattro sessioni.
Il Corso sulle Procedure di Analisi e Terapia del Comportamento
Sessuale, della durata di 100 ore, è stato realizzato quattro
volte tra il 1982 e il 1986. Tra i docenti vogliamo segnalare
John Bancroft (Unità di Biologia della Riproduzione MRC di Edinburgo),
Gotz Kockott (Istituto Max Planck di Monaco), Joseph Lo Piccolo
(Università di Stony Brook di New York). Al Corso hanno partecipato,
in qualità di allievi, circa 40 laureati per ciascuna delle
quattro sessioni. Per i Disturbi Comportamentali dell’Età
Evolutiva sono stati realizzati degli Incontri dedicati alla
presentazione della Pediatria Comportamentale, nonché dei Meeting
sull’Enuresi, l'Encopresi, il Toilet-training, sulle Balbuzie,
i Tics, e le Ipercinesie. Tutti più volte svolti nel corso degli
anni. Si sono tenuti, inoltre, diversi training sulla pratica
clinica sotto il patrocinio dell’Ordine dei Medici, dell’AIAMC
e Federazione Nazionale dell’Ordine dei Medici (FNOM) , quale
per esempio tecniche di intervento, gestione delle resistenze,
psicodiagnostica, etc. Infine abbiamo ospitato, in diverse
occasioni, per seminari, personaggi storici quali, Joseph Wolpe,
Simonov dell’Istituto Pavlov di Leningrado etc.
Area
Ricerca in Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale
Numerose sono le
pubblicazioni e le monografie: A. Tamburello-G. E. Schwartz,
Biofeedback e Medicina Comportamentale dal punto di vista della
teoria dei sistemi, Kappa, 1983; A. Tamburello-S. Tamburello,
Il Training delle Abilità Sociali nella Ricerca e nella Clinica,
Kappa, 1984, l’Istituto Skinner ha curato, nel 1992 l’edizione
italiana del libro di A. T. Beck Cognitive Therapy of Personality
Disorders, pubblicato dalla Casa Editrice Mediserve di Napoli
con il titolo Terapia Cognitiva dei Disturbi di Personalità,
nella nuova collana dell’ Istituto Skinner rivolta ai principali
apporti internazionali di Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale.
Indirizzo
Scientifico-Culturale
Le prime esperienze del
Dott. Tamburello, Direttore e Fondatore dell’Istituto Skinner
di Roma, erano partite per il rilevante stimolo esercitato dalle
esperienze presso il Max Planck Institute di Monaco di Baviera
e per l’opera di Victor Meyer al Middelsex Hospital di Londra,
oltrechè, ovviamente, per l’influenza della letteratura specializzata
che vedeva l’avvio di una forte espansione, poi più pienamente
espressa dal 1975 in avanti. Il Dott. Tamburello, nel 1972,
aveva mirato le sue prime esperienze all’analisi e alla modificazione
del comportamento negli psicotici cronici lungodegenti in una
struttura ospedaliera secondo un modello proposto nel 1968 da
Theodoro Ayllon e Natalie Arzin ben descritto nell’opera "Token
Economy: A Motivational System for Therapy and Reabilitation".
L’Istituto Skinner, che già nel 74 fu riconosciuto dal Prof. Burrhus Friederich Skinner che ne autorizzò l’impiego del nome,
rappresentò di fatto la prima organizzazione privata, in Italia,
a svolgere un’azione nell’area clinica e psicoterapeutica con
un modello teorico unitario di tipo comportamentistico. Nel
periodo compreso tra il 1974 ed il 1978, l’attività si limitò
al trattamento ambulatoriale di pazienti nevrotici. E in particolare
si è avuta un’ampia esperienza riguardo il trattamento della
psicopatologia della relazione di coppia e sessuale con l’impiego
di un modello mutuato dai famosi pionieri di St. Louis della
"Reproductive Biology Research Foundation": W. Masters e Virginia
Johnson (che erano stati i maestri del Dott. Tamburello), rivisto
alla luce dei principi dell’apprendimento e, più in generale,
dell’ottica di un comportamentista. A quell’epoca i principali
apporti teorici di riferimento erano rappresentati da Pavlov,
Skinner e Bandura. Naturalmente per coloro che si trovarono
ad operare in un ambito clinico e non già in quello per certi
versi privilegiato della ricerca di laboratorio o della speculazione
teorica, apparve subito inevitabile il confronto con una sezione
del repertorio comportamentale complessivo e cioè quella cognitiva.
Era innegabile, ed in larga evidenza vero, che le cognizioni,
il pensiero e più in generale i processi cognitivi del paziente
svolgessero una precisa funzione nell'apprendimento del disturbo
comportamentale ed emotivo del soggetto, nel suo mantenimento,
e nella risposta al trattamento. La risposta poteva risultare
facilitata o ostacolata a dispetto delle specifiche procedure
e tecniche impiegate nel progetto terapeutico. Del resto
la questione si poneva, anche se in modo slegato ed inorganico,
anche in letteratura ed i modelli teorici di approccio si arricchivano
di componenti che prevedessero il paradigma S-O-R, in cui "O"
poteva o doveva, a seconda dell'autore, rivolgersi a tutte le
variabili organismiche intermedie identificate, di volta in
volta, nell’arousal del SNA, nelle caratteristiche della personalità
psico-biologica del soggetto (estroversione od introversione),
nelle variabili farmacologiche, nei pensieri, nelle convinzioni
o nello stato emotivo del soggetto (Kanfer, 1970; Lazarus, 1971).
Inoltre tutti ricordiamo la posizione di Arnold Lazarus che
già nel 1971 con il suo acronimo "BASIC ID" vuole ricordare
al clinico che si disponga di fronte al compito dell’assessment
del paziente che è opportuno esaminare di certo il comportamento
(B=Behavior), ma anche la componente affettivo-emotiva dell’esperienza
in esame (A=Affect), le sensazioni sperimentate (S=Sensation),
l’immaginazione autonoma del paziente (I=Imagination), le cognizioni
(C=Cognition), oltre che ogni elemento dell’area interpersonale
e sociale (I=Interpersonal), e delle eventuali sostanze farmacologiche
o tossico-alimentari assunte (D=Drugs). Nello scenario complessivo
della letteratura dell’epoca (prima metà degli anni ‘70) posizioni
come questa di Lazarus esercitavano già un certo fascino su
noi clinici, confrontati quotidianamente con la variegata struttura
dell’esperienza del soggetto, anche se ci si rendeva ben conto
di come fosse precaria la circostanza di non possedere un’idonea
mappa di riferimento per i tentativi di impiego dei dati che
scaturivano da un approccio multi-modale al trattamento.
In pratica nel nostro Istituto, come in altre similari organizzazioni
straniere, si viveva la stimolante opportunità di accedere con
le nostre chiavi di lettura ad aspetti covert dell’esperienza
del paziente, ma con la contemporanea percezione di un disagio
che scaturiva dalla consapevolezza di poter contare su mezzi
modesti e su una visione tutto sommato inadeguata di tale fenomeni
e della loro interazione con l’area psicofisiologica e comportamentale
manifesta del repertorio del paziente. In questa fase il
progresso più consistente e più gratificante riguardava l’evoluzione
della componente addestrativa dell’approccio clinico. In questo
ambito si sviluppano lodevoli modelli di social skills training,
di relaxation and biofeedback training, self-management e di
problem solving e decision making skills training. Molti
brillanti autori hanno prodotto numerosi esempi di interventi
per pazienti con lacune di repertorio e quindi deficit di abilità.
Del resto il discorso sembrava filare quando ad esempio si affermava
che se un paziente, ad esempio, non sa comunicare con modalità
affermativa, o ad esempio non sa controllare certe reazioni
fisiologiche, o rimane inerte davanti ad un problema nuovo,
la cosa più indicata è di insegnargli a farlo. All’Istituto
Skinner noi non potevamo certo esimerci dallo sperimentare,
con ordine e tenacia, la via addestrativa sopra richiamata.
Da questo impegno è scaturito un interessante progresso del
potenziale clinico e conseguentemente, una nostra nuova offerta
di proposte formative per gli operatori dell’area, che vedeva
l’apporto di leader internazionali prestigiosi (si veda documenti
sulle attività e gli apporti scientifici). Questa era la
faccia luminosa della questione; vi era però un lato più scuro,
che nel nostro caso era rappresentato dalla irritante continuità
con cui percepivamo come l’addestrare comportava, oltre i vantaggi
fin troppo noti, una sorta di attrito con la realtà e con la
stuttura stessa del paziente. Questo attrito, o resistenza
al cambiamento, era a volte minimo e quasi inaprezzabile ed
a volte massiccio e scoraggiante; se ne potevano osservare tutti
i gradi che apparivano secondo una distribuzione gaussiana.
Per essere più espliciti, ci apparivano razionali e comprensibili
i tentativi di apporto di abilità, ma l’evidente atteggiamento
di attivo "rigetto" di alcuni pazienti o di "resistenza passiva"
di altri, non poteva passare inosservato e mancare di stimolare
nuovi interrogativi. Questi interrogativi in realtà in parte
gli operatori se li erano posti, ma a volte la tentazione pericolosa
fu di trovare una sola risposta e cioè che era l’ansia a far
rigettare o resistere al cambiamento. In questa visione era
già implicito che il soggetto, anche qui reso meno libero dall’ansia
condizionata, dovesse essere trattato con tecniche specifiche
inerenti all’estinzione dell’apprendimento dell’ansia condizionata.
Naturalmente abbiamo raccolto questa indicazione e abbiamo verificato
come fosse giustificata e fertile, per le sue implicazioni operative,
ma non utilizzabile per ogni caso di attrito o resistenza clinica.
Forse a questo punto è prudente precisare come le difficoltà
possono essere incontrate in tutti i tipi di training delle
abilità, siano essi più impegnativi per il comparto cognitivo
(come ad esempio il decision making skills training), per quello
emozionale e somatico (come ad esempio il biofeedback training)
o per quello comunicativo e sociale (come ad esempio il social
skills training). La difficoltà più evidente è rappresentata
dalla motivazione del paziente che, in certi casi, implica un
ridotto impegno nelle esperienze di homework. Ciò è dovuto ad
una limitata risonanza che i temi proposti dal programma di
training sono capaci di produrre sull’esistenza del soggetto.
A volte la divaricazione tra gli interessi e le motivazioni
del paziente, e quelle del trainer, appare raggiungere le proporzioni
più vistose ed è riscontrabile un evidente tentativo di spostare
la direzione del lavoro delle sedute verso la soddisfazione
di bisogni molto diversi. Questi non possono, a nostro avviso,
essere liquidati con una loro secca definizione di "tentativo
di manipolazione" o con un troppo schematica gestione di counter
conditioning che prevede il totale ritiro dell’attenzione del
terapeuta, quando vengono introdotti i temi o modalità di approccio
non ritenute coerenti con il progetto e al contrario la massima
espressione di attenzione, impegno e rinforzo sociale quando
il comportamento dell’assistito ritorna costruttivo per il lavoro
pianificato. Ci siamo soffermati forse un po’ a lungo su
questo aspetto, ma altrimenti non ci sarebbe stato facile far
comprendere le nostre insoddisfazioni che hanno svolto un’essenziale
funzione di "drive" nell’esplorare nuove posizioni e nuove strategie
terapeutiche. Per una fase complessivamente breve si è effettuato
il tentativo di integrare, nel nostro approccio clinico, tecniche
mutuate dalla Terapia Emotivo-Razionale di Ellis, ma con scarso
apporto relativamente alla problematica sopra affrontata. Del
resto è in parte evidente come non si possano ottenere sostanziali
variazioni, in termine di vantaggio o svantaggio, al solo variare
di una procedura con un’altra, quando il problema non è del
mezzo per arrivare ad un fine, ma di fini che sono sostanzialmente
diversi per il paziente da un lato, e per il suo psicoterapeuta
dall’altro. Condividiamo quindi, in questo aspetto, la posizione
assunta dai colleghi ed amici della Scuola di Psicoterapia Cognitiva
di Via degli Scipioni (Guidano, Liotti e Reda) quando
parlano della necessità di una nuova fase della terapia cognitiva
che è da definire "post-razionalista". Da quanto premesso
riteniamo sia più comprensibile come nell’ultima fase (dal 1987
ad oggi) si sia fortemente attenuato nell’approccio clinico
dell’Istituto la componente addestrativa, e conseguentemente
ridotto il ruolo delle tecniche di intervento con una valorizzazione
di quei percorsi evolutivi che consentono cambiamenti che passano
al di sotto delle tecniche (Mahoney, 1985). Il concorso di
fattori quali:
a) il pieno accoglimento del reciprocal determinism di Bandura
(1985) quale concezione della casualità del comportamento umano;
b) l’adesione all’indicazione costruttivista del paradigma cognitivista
(peraltro rintracciabile in larga misura anche nel Beck più
recente, 1991); c) la valorizzazione degli apporti della
gnoseologia post-empirista; d) una comprensione più completa
del ruolo dell’astratto nell’esperienza attuale e storica dell’uomo,
ha consentito di giungere oggi ad un modo di procedere nella
conoscenza della realtà del paziente ed all’intervento di terapia
cognitivo-comportamentale e che appare molto più organico
e causale che sta di fatto costituendo un prezioso premio ai
lunghi sforzi sinora compiuti.
Teodoro Ayllon
e Nathan Azrin: The Token Economy: A Motivational System for
Therapy and Rehabilitation, ACC (Appliton Century Crofts), N.
Y., 1968. Arnold A. Lazarus: Behavior Therapy and Beyond,
Mc. Graw Hill Book Company, N. Y., 1971. Friederich H. Kanfer
and Jeanne 5. Phillips: Learning Foundations of Behavior Therapy,
John Wiley and Sons INC, N. Y. 1970. Mahoney M. J.: Psychotherapy
and Human Change Processes, Plenum Press, N. Y., 1985. A.
T. Beck: Terapia Cognitiva dei Disturbi di Personalità, Mediserve-Istituto
Skinner Roma, Napoli, 1993.
|